Quello dell'aborto è sempre stato un argomento spinoso, da sempre accompagnato da polemiche di ordine etico, religioso, medico e politico. La scelta della donna di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza non è mai semplice e va rispettata al di là dei pregiudizi e delle opinioni personali.
Cos'è
In Italia l'interruzione volontaria di gravidanza è una libera scelta riconosciuta a ogni donna che non desidera diventare madre. È una pratica medica regolata dalla legge 194/78 che riconosce la facoltà di interrompere la gravidanza entro 90 giorni dal concepimento (12esima settimana di gestazione).
La donna può richiedere l'interruzione volontaria di gravidanza se munita di due certificati: il certificato medico relativo allo stato di gravidanza e un certificato attestante la sua volontà di interrompere la gestazione. La normativa stabilisce inoltre una pausa di 7 giorni in cui la donna ha diritto al ripensamento e a riflettere sulle alternative all'aborto, di cui i consultori familiari forniscono informazioni.
L'interruzione volontaria di gravidanza può essere praticata dopo la 12esima settimana (interruzione terapeutica) solo se gravidanza e parto costituiscono un pericolo per la salute della madre o se al nascituro sono state diagnosticate gravi anomalie e malformazioni che possano compromettere l'equilibrio psichico della donna.
Come si esegue
L'interruzione volontaria di gravidanza può essere praticata secondo due modalità: l'intervento farmacologico e l'intervento chirurgico.
L'intervento farmacologico è consentito in Italia da Dicembre del 2009 e va effettuato entro il 49esimo giorno dall'inizio del concepimento, cioè entro la sesta settimana di gravidanza. Alla donna, in regime di ricovero, viene somministrato un farmaco sotto forma di pillola a base di un principio attivo, il mifepristone, conosciuto anche come RU486, che provoca il distacco dell'embrione dalla parete uterina. A distanza di alcune ore, l'assunzione di un farmaco a base di prostaglandine induce le contrazioni dell'utero e il suo svuotamento.
L'intervento chirurgico, che comporta un ricovero di un paio di giorni, viene condotto in anestesia generale e può consistere nell'isterosuzione (aspirazione dell'embrione mediante cannula ) oppure nella dilatazione e revisione, pratica meno utilizzata oggi, meglio conosciuta come raschiamento.
Risultato
La legge 194/78 garantisce alla donna la facoltà di avvalersi di un intervento medico in totale sicurezza, limitando rispetto al passato le complicanze di infertilità e morte che spesso accompagnavano le pratiche illegali.
Trattandosi di una pratica medica, l'interruzione volontaria di gravidanza non è priva di rischi e controindicazioni. Nel caso dell'interruzione farmacologica si può incorrere in reazioni allergiche al farmaco, in effetti collaterali come eritema e tachicardia, nel rischio di emorragie in seguito allo sfaldamento della parete uterina. Nel caso di interruzione chirurgica il rischio maggiore è la lacerazione dell'utero causato dal raschiamento, un'eventualità con un incidenza piuttosto bassa (< 1%).
Dal punto di vista fisiologico, salvo complicanze, i tempi di recupero dopo l'aborto sono brevi e l'interruzione volontaria della gravidanza non preclude alla donna la possibilità di essere madre successivamente. La questione può essere più complessa dal punto di vista psicologico e richiedere talvolta l'intervento di un terapeuta per aiutare la donna a elaborare l'esperienza vissuta.
Altre informazioni
La legge 194/78 garantisce al personale medico il diritto di obiezione di coscienza riguardo all'aborto. In Italia circa il 70% dei sanitari rientra tra gli obiettori di coscienza. Questo si traduce nella minore reperibilità di medici disposti a praticare l'aborto e nel sovraccarico di lavoro per coloro che si rendono disponibili. Ciò comporta un allungamento dei tempi che intercorrono tra la decisione di abortire e l'intervento di interruzione, portando a 2-3 settimane la pausa di riflessione voluta dal legislatore
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